Brand ambassador

Quando i Dipendenti
comunicano i Valori aziendali


Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa interessante testimonianza apparsa
sul mensile MK CURATO DALL'UFFICIO ANALISI GESTIONALI DELL'abi, CHE RINGRAZIAMO



di Lucia Landi
Responsabile Servizio Risorse Umane – Cassa di risparmio di Cento Spa

Conoscere i dipendenti per far comprendere l’azienda
La trasformazione digitale di ogni azienda, ma semplicemente la buona riuscita di ogni progetto, ha bisogno del sostegno di tutti i dipendenti per essere nonsolo efficace ma anche duratura.
Mai come oggi le risorse umane diventano quindi il fattore di differenziazione di un’azienda e questa differenza sarà presto misurata anche in termini economici.
La composizione del personale alla Caricento evidenzia molto bene che al suo interno convivono classi di lavoratori differenti, ovvero dei complessivi 427 dipendenti (dati aggiornati a settembre 2016), 120 sono 'Baby boomer' nati tra il 1946 e il 1964, 205 fanno parte della 'Generazione X' nati tra il 1965 e il 1980 e 102 'Millennials' nati tra il 1981 e il 2000.
La sfida dunque è far convivere, lavorare e produrre nella stessa realtà anime così differenti per cultura e mentalità, cercando di fare in modo che si possano scambiare informazione e conoscenza. Il fatto è che le nuove generazioni non hanno solamente un gap anagrafico nei confronti delle altre che li hanno preceduti, ma sono programmati in maniera completamente diversa da noi. Noi ci stiamo riprogrammando.

New generation: i Millennial
Studi recenti rivelano che la generazione dei millennials, ovvero quella dei giovani nati dopo il 1980, conterà per il 75% entro il 2025. Ora questi candidati entrano nel mondo del lavoro con un bagaglio culturale e personale diverso da quello dei colleghi più anziani: sono nativi digitali, flessibili, hanno ritmi di vita diversi ma soprattutto non hanno stacco tra vita lavorativa e vita privata. Con le loro nuove motivazioni possono rappresentare un fattore di crescita per le aziende. Tuttavia, la generazione dei millennials è nota per lasciare il posto di lavoro dopo poco tempo (il 60% cambia lavoro dopo meno di tre anni).
Ritengo dunque che per rimanere competitive, le aziende necessitano di un approccio più fresco in termini di selezione, formazione e retribuzione, che consideri i nuovi valori, atteggiamenti e stili di vita. Su cosa puntare dunque per attrarre questi talenti? 

  • Flessibilità. I giovani che cercano lavoro oggi vivono in un mondo in cui la presenza fisica è un optional: da luogo “dove andare” sono diventate “cose da fare” con un qualsiasi dispositivo connesso. Il lavoro è visto nello stesso modo; qualcosa che non viene misurato in termini di ore trascorse in un luogo, ma di risultato di ciò che si è fatto.
  • Crescita professionale e personale. I millennials non vogliono lavorare solo per lo stipendio: desiderano investire il tempo per acquisire nuove competenze e La formazione dunque non è più solo un mezzo per realizzare  obiettivi aziendali, ma un’esperienza di apprendimento a 360 gradi che coinvolge tanto gli obiettivi di carriera quanto gli interessi e le  passioni del dipendente.
  • Valori. I millennials considerano molto importante anche la causa sociale dell’azienda per cui lavorano: come si relaziona l’azienda con il mondo esterno e in che modo contribuisce al bene generale. L’epoca in cui sono cresciuti ha insegnato loro che nulla è garantito. Instabilità e cambiamenti rapidi sono la norma.

 

Fiducia: la moneta del domani
I trend che guideranno nei prossimi decenni saranno: indici demografici - saremo di più e con grande migrazione di popolazioni e di ristrutturazioni delle metropoli che saranno molto numerose - l’attenzione alla sostenibilità ambientale, le tecnologie ma soprattutto l’etica, i valori e i comportamenti. Le persone hanno bisogno di vedere e di sentire parlare persone per bene. Anche e soprattutto nelle aziende. Secondo il Trust Barometer di Edelman, il 72% del pubblico generico accorda maggiore fiducia a un contenuto condiviso sui social da amici e familiari, rispetto a quello condiviso da un marchio, una celebrità o dal Ceo di un’azienda.
Le aziende all’esterno manifestano ciò che sono al loro interno. Fare employer branding significa certamente attrarre talenti dall’esterno ma anche e soprattutto mantenere quelli che si hanno; tutto ruota intorno a questo equilibrio tra talent acquisition e talent retention.

Da dipendente a ambassador
Risulta dunque evidente che per aumentare la portata sui social media e aumentare il grado di fiducia verso un marchio, occorre coinvolgere i dipendenti nelle attività di condivisione sui social.
Ma ciò che appare ancora più interessante è che una politica di incoraggiamento dei dipendenti a partecipare alle attività sui social aumenta il loro senso di appartenenza a una comunità e quindi il loro stesso coinvolgimento.
Si può descrivere il coinvolgimento dei dipendenti in diverse maniere, ma essenzialmente esso misura quanto questi ultimi si prendono cura del proprio lavoro e dell’azienda. Quando un dipendente crede fermamente nella propria azienda, il suo entusiasmo si esprime chiaramente nel modo in cui coinvolge altri utenti su Facebook, Twitter, Instagram o altre piattaforme social.
Comunicando la sua passione ad altri, il suo coinvolgimento finisce per attrarre potenziali clienti impressionati da ciò che leggono e sentono su prodotti o servizi.
Esiste una percentuale che tutti gli Hr conoscono: soltanto il 30% dei dipendenti ama ciò che fa e è profondamente impegnato a contribuire al successo aziendale, in altre parole lavora con determinazione e soddisfazione.
Ora sicuramente lavorare su quella percentuale non è complicato, ma la sfida è far diventare gli altri ambasciatori del proprio brand, specie quel 52% disimpegnato. Bisogna curare la relazione con i dipendenti esattamente come se fossero clienti dell’azienda. Secondo una ricerca condotta da Onepoll per Samsung nel 2014, ben l’86% degli italiani “si fa gli affari propri sul lavoro”: dedicano fino a 45 minuti per consultare le proprie reti sociali (63%). I millennials, tra i 18 e 34 anni, sono quelli più propensi a violare queste regole: appare chiaro, come vietare l’utilizzo dei social network sia inefficace e, anzi, possa creare maggiori problemi.
Sono diventati frequenti infatti i casi di licenziamento dovuti a un uso improprio di Internet sul posto di lavoro o di social media fail causati da dipendenti che, in mala fede o involontariamente, pubblicano notizie lesive per la reputazione dell’azienda, confondono i profili e pubblicano notizie personali su quello aziendale, o interagiscono con i clienti dando risposte non conformi con la filosofia aziendale. 

Social e policy
Vale la pena incoraggiare i dipendenti a usare i social in azienda facendoli ambasciatori del brand? Certamente sì ma non si può obbligarli. Oggi in Italia molte aziende piccole e grandi pretenderebbero che i dipendenti diventino ambasciatori del brand utilizzando i loro profili social per promuovere le attività in azienda ma impediscono l’accesso a Internet ai dipendenti da cui pretenderebbero il contributo.
In moltissime aziende l’accesso ai social è bloccato e i dipendenti non possono usarli; questo è un grave errore se si vuole che diventino degli ambasciatori del brand.
Certamente, soprattutto nelle aziende grandi, certe limitazioni di accesso a specifici siti ci devono essere ma non ai social. Anche perché, se io blocco l’accesso ai social ai dipendenti loro li utilizzeranno ugualmente con i loro smartphone in orario di lavoro con danni e perdita di produttività ancora maggiori.
Si dovrebbe iniziare a promuovere, in azienda, un codice etico di utilizzo dei social: regole chiare, semplici e precise, che tutte le persone interessate a questo tipo di attività devono conoscere, condividere e sottoscrivere.
Sicuramente chi opera a contatto con il pubblico, commerciali, marketing, assistenza clienti e altre funzioni, potrebbe dare un grande contributo allo sviluppo del brand dell’azienda. Le persone però vanno trattate da adulte e devono essere coinvolte in modo che diventino loro stesse dei prosumer in modo autonomo grazie appunto alla condivisione e non all’imposizione.
Un brand ambassador non è molto diverso da un amico, così come le dinamiche del rapporto con l’azienda in cui si lavora non sono molto diverse da una relazione tra umani.
La Cassa di Risparmio di Cento ha realizzato nel 2014 la sua Carta dei valori, mettendo nero su bianco i principi fondanti che hanno sempre contraddistinto la banca e il suo operato, ma che fino a quell’anno non erano ancora stati condivisi da tutti i dipendenti.
A tal proposito è stato fatto un lavoro importante di condivisione della Carta stessa, con un processo top down che ha visto il coinvolgimento di tutti i dipendenti in maniera attiva, con grande sinergia tra ruoli e funzioni. Per fare questo abbiamo investito alcuni colleghi del ruolo di facilitatore e gli abbiamo chiesto di guidare o supportare alcune riunioni nei singoli uffici, creando un positivo e fruttuoso scambio di esperienze e punti di vista.
E così anche i dipendenti si fanno portatori dei valori della banca e sono davvero in grado di fare quel lavoro di cui tanto di parla adesso, ovvero l’employer branding. Se non sono i dipendenti a parlare bene della propria azienda, chi lo può fare?
Ritenendo quindi che il primo fan di un’azienda sia il suo dipendente, la banca ha sviluppato il progetto Ambassador team: è stato chiesto a 29 colleghi di metterci la faccia e di comunicare la loro passione attraverso un format di foto da pubblicare sui nostri canali social, e ciò che gli fa battere il cuore. Hanno mostrato il loro volto. Cosa spinge un cliente a scegliere una banca piuttosto che un’altra? In un periodo storico in cui la fiducia nei confronti delle banche sta toccando i minimi storici, raccontare al pubblico chi sono i dipendenti aiuta a aumentare la percezione di trasparenza dell’azienda e pone le basi per rinnovare il rapporto fiduciario tra banca e cliente.
Con il progetto Ambassador, Caricento intende mostrare le qualità del proprio personale, aprendo le porte della Direzione generale e delle filiali, raccontando i dipendenti anche sotto una luce diversa da quella professionale, ovvero quella delle passioni e degli interessi.
Età, competenze e esperienze diverse, negli uffici della direzione o a stretto contatto con il pubblico in filiale, i collaboratori della Cassa di Risparmio di Cento si raccontano presentando talvolta anche un lato diverso di se stessi.
I nostri collaboratori hanno un valore inestimabile da raccontare alla clientela e condividono un marcato sentimento di appartenenza alla Cassa, un valore di cui la banca va fiera e che ha sempre contagiato tutti, dal direttore generale fino ai neoassunti. Metterci la faccia, raccontare chi siamo e come lavoriamo, significa prendersi la responsabilità delle proprie azioni integrando il lato professionale con quello umano.
Il progetto si è sviluppato in tre step: il primo passo è stato quello della selezione, finalizzata a valorizzare le persone che non soltanto avrebbero rappresentato la nostra azienda, ma che avrebbero potuto, grazie alla loro attitudine, coinvolgere anche altri colleghi creando una sorta di contagio volontario.
Vi è stato un ottimo risultato di coinvolgimento, sia interno che esterno: i post coinvolgono sia gli altri colleghi, che son diventati i primi sostenitori, sia i clienti che ritrovano i volti dei loro punti di riferimento in filiale e non (amici, parenti, curiosi).

E dopo? Siamo pronti per l’e-voluzione
Nella convention che ha riunito tutti i dipendenti il mese scorso, abbiamo voluto affrontare il tema dell’evoluzione. Abbiamo individuato questo tema partendo dalla considerazione che il mondo intorno a noi sta vivendo un percorso di trasformazione irreversibile a cui non possiamo sottrarci. Sarebbe altrettanto inutile opporsi perché l’evoluzione che stiamo vivendo è un fenomeno pluridimensionale, un solido che presenta tante facce quanti sono gli ambiti della no- stra vita che coinvolge.
Tutte le aziende in questo momento storico, in modo particolare le banche, stanno attraversando un’evoluzione che contribuisce a cambiare i valori fondanti della cultura aziendale. Per spiegare questo cambiamento, abbiamo pensato di dividerlo, mostrandolo in tutti i suoi aspetti, a par- tire dall’evoluzione digitale.
Coloro che non accedono alla rete, non imparano a navigare o non vogliono interagire con questa tecnologia rischiano di rimanere tagliati fuori dalla società moderna. Il divario digitale rischia di trasformasi in un divario sociale, in cui la mancata adozione delle tecnologie porta all’accentuazione della condizione di disagio di determinate categorie di popolazione. In modo particolare mi riferisco al rapporto che lega le organizzazioni ai loro clienti. Non esistono più barriere o lunghi iter burocratici per mettersi in contatto con i vertici di un’azienda (paradossalmente basta un account Twitter per mettersi in contatto con il Presidente degli Stati Uniti d’America!). 

Social ma consapevoli!
Il tempo e l’evoluzione tecnologica non si possono fermare, ma è importante e possibile ritrovare equilibrio, educazione, consapevolezza. Dobbiamo imparare insieme a sentirci di nuovo padroni di noi stessi, riprendiamoci la nostra vita e il nostro tempo: saremo di nuovo connessi e partecipi dei tempi che corrono, ma con saggezza e consapevolezza, vivendo la tecnologia senza ansia, ma come alleato.
Consapevolezza e presenza mentale - o mindfulness per usare una parola unica - sono quindi tra le nuove competenze da sviluppare e da far sviluppare a tutti i nostri collaboratori. Per avviare i dipendenti a un utilizzo consapevole dei social network, abbiamo preparato una serie di policy che hanno l’obiettivo di regolamentare la gestione dei social network. L’utilizzo dei social media deve avvenire nel rispetto delle norme di legge, del codice deontologico, della Carta dei Valori aziendale e delle altre disposizioni interne e comunque nel rispetto degli inderogabili principi di continenza formale e sostanziale.

Da azienda a community?
La rete Internet e i social network hanno accorciato le distanze tra le persone attribuendo pieno valore a ogni individualità. In questo contesto anche la reputazione assume un valore fondamentale, basta una risposta secca, un dispositivo di sicurezza non indossato o una filiale disordinata per scatenare una polemica sul web.
La compresenza fisica non è più fondamentale, si possono gestire rapporti di lavoro e personali anche a distanza. Questo presuppone nuove capacità di interagire da parte di tutti, ma anche di riorganizzazione delle imprese.
Cambiare i paradigmi di un’offerta centenaria non è certo semplice. Solo grazie a una veloce e decisa ristrutturazione organizzativa associata a una cosciente ma profonda evoluzione culturale e di mentalità, le banche riusciranno a adeguarsi ai bisogni in continua evoluzione della clientela e ai nuovi obiettivi di business.
Oltre alle competenze tecniche, ve ne sono altre che risultano fondamentali per ogni dipendente come ad esempio la flessibilità cognitiva, ovvero la capacità di cambiare comportamento a seconda del contesto o del tipo di compito.
La  capacità di risolvere situazioni complesse tramite la propria creatività, individuando soluzioni diverse dal normale, ma sempre nell’ambito delle policy aziendali, è un pre-requisito dei dipendenti di oggi.
Le aziende e le famiglie hanno bisogno di affidarsi a persone non solo competenti, ma in grado anche di relazionarsi in maniera sana con colleghi e clienti. La società moderna si caratterizza per un individualismo dilagante ma, anche grazie ai social network, tutti stanno riscoprendo il concetto di community e l’importanza di fare rete.
La community consente di darci supporto l’un l’altro per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Solo la community aziendale, che può fare la differenza ogni giorno, con piccoli gesti da parte di tutti. Se tutti si impegnano al massimo per raggiungere i propri obiettivi e quelli del gruppo, tutta la community aziendale potrà beneficiarne. Non è facile certo; questo tipo di atteggiamento richiede grande equilibrio, è un esercizio di stile che prevede grande applicazione e in cui tutti devono impegnarsi.
Questo significa l’importanza di dare il massimo a tutti i livelli, sentendosi parte di una grande community che ha bisogno del contributo di tutti.