L'altra Comunicazione interna

Evoluzione delle Funzioni
e dei Ruoli nell’era digitale


di Fabrizio Maimone
Università LUMSA di Roma


Aziende italiane e fase di profondo cambiamento

Il processo di trasformazione è favorito dall’innovazione tecnologica, dall’evoluzione degli scenari geo-politici e economici, dal mutamento degli stili di vita (e di consumo), dalla turbolenza dei mercati e dal clima di incertezza che pervade l’economia globale.
Le imprese sono costrette a navigare a vista. E diventano sempre più flessibili (Maimone e Sinclair, 2014), per sopravvivere in un mondo complesso (Morin e Corbani, 1993), iper-connesso e globalizzato (Castells, 2014).
La flessibilità non riguarda solo i rapporti di lavoro, ma coinvolge le strategie e le strutture organizzative, i comportamenti manageriali e organizzativi (Volberda, 1996). Le nuove tecnologie (non solo) digitali spingono verso la virtualizzazione dei luoghi di lavoro e lo “smart - working” (vedi articolo di Sara Monica su Wired). I processi di globalizzazione trasformano le imprese in grandi network transnazionali (Ghoshal e Bartlett, 1990), che operano contemporaneamente su scala globale e locale (Matusitz, 2010).  
Il cambiamento in atto ha un impatto significativo su cinque dimensioni chiave del management d’impresa

1. La governance e i processi organizzativi
I sistemi di governance delle aziende, basati (prevalentemente) su norme e procedure, fanno fatica a stare dietro al cambiamento continuo. Non a caso, uno dei temi di ricerca emergenti nell’ambito degli studi organizzativi è quello delle organizzazioni “post-burocratiche”, così definite perché adottano strategie di coordinamento e regolazione dei comportamenti individuali e collettivi, basate sulle cosiddette leve “soft”, come la cultura e i valori d’impresa, la comunicazione, la leadership, ecc.. Queste strategie integrano  i tradizionali strumenti di comando e controllo, tipici della burocrazia d’impresa.
Inoltre, molte aziende stanno implementando strategie e pratiche di employer ed internal branding (vedi la campagna Go Further della Ford). Queste filosofie manageriali, figlie del marketing interno, mirano a facilitare la condivisione da parte degli stake holder interni ed esterni dei valori e degli elementi chiave del posizionamento distintivo dell’impresa (vedi Il Progetto Be Future Proof di WIND), la condivisione della corporate e della brand identity (vedi la nuova campagna istituzionale TIM). Anche in questo caso, le aziende mirano a facilitare un cambiamento negli atteggiamenti e nei comportamenti organizzativi, “conquistando i cuori e le menti dei dipendenti”, grazie alle cosiddette leve “soft”. Queste iniziative saranno più efficaci, se la narrazione proposta è integra, intellettualmente onesta e inclusiva.  E non rappresenta solo un mondo artificiale, costruito ad arte dai creativi di un’agenzia di comunicazione. Non solo l’amore cantato da Carmen Consoli, ma anche la corporate identity di plastica è destinata a vita breve.  
E’ superfluo sottolineare che gli approcci appena descritti attribuiscono un ruolo chiave alla comunicazione interna ed organizzativa.
Il cambiamento impatta anche sui processi organizzativi. Infatti, le trasformazioni in atto fanno emerge l’esigenza di assicurare alle imprese (sempre più) flessibili la necessaria integrazione verticale e orizzontale, a livello di team (non solo) dispersi geograficamente, unità organizzative, filiali locali e direzione generale.
Il bisogno di facilitare un migliore coordinamento è presente anche nelle organizzazioni meno innovative. Infatti, la diffusione dei social media e il conseguente mutamento dell’ambiente interno ed esterno tendono a facilitare la de-strutturazione e la ri-configurazione, in forme reticolari, delle relazioni organizzative, anche nelle imprese che adottano modelli tradizionali, basati su comando e controllo e sulla standardizzazione dei processi.
La comunicazione interna può dare un contributo importante per favorire il coordinamento e la cooperazione, all’interno e all’esterno dei confini organizzativi.
La comunicazione, inoltre, può svolgere una funzione “organizzante” (Maimone, 2010), facilitando la costruzione e la manutenzione delle reti sociali all’interno e all’esterno dei confini organizzativi, (non solo) attraverso l’utilizzo dei social media. Queste reti, infatti, possono facilitare l’interconnessione e l’interazione tra i ruoli, le unità e le persone che collaborano a vario titolo al successo dell’impresa.
La costruzione e la gestione di queste reti può favorire, infine, i processi di intelligenza collettiva, fondamentali per facilitare l’innovazione diffusa e il cambiamento continuo (Maimone e Sinclair, 2014), e la gestione della complessità (Rullani in Maimone 2007).

2. La virtualizzazione delle strutture e dei processi organizzativi
Come premesso, il cambiamento organizzativo è favorito dalla diffusione delle nuove tecnologie digitali e, in particolare, dall’implementazione di strategie e metodologie di “social collaboration”.
Secondo alcuni studi, la social collaboration può contribuire alla crescita delle imprese e più in generale del sistema economico di un Paese. Un recente studio di Accenture Research ha evidenziato il potenziale impatto della “collaborazione digitale” sul PIL delle nazioni più industrializzate.

Come vediamo nella tabella a fianco, lo studio di Accenture (fonte: Accenture Research, 2015) afferma che una maggiore diffusione delle tecnologie di social collaboration in Italia potrebbe portare ad una crescita significativa del PIL, addirittura pari al 1,9%. Sappiamo che queste stime forniscono dei valori indicativi e, quindi, devono essere valutate cum grano salis.
E’ evidente, però, che la diffusione delle tecnologie di social collaboration insieme, mi permetto di aggiungere, allo sviluppo delle competenze digitali, delle buone pratiche di collaborazione e di una cultura d’impresa orientata alla condivisione e alla collaborazione, potrebbe dare un impulso rilevante (anche) alla crescita delle imprese italiane.
Un esempio di utilizzo strategico delle nuove tecnologie è offerto dal Progetto Web 2.0 internal communication platform di Accor. Anche SAS ha puntato sui media digitali per facilitare la comunicazione interna e favorire la collaborazione.
Non è tutto oro quel che luccica. La diffusione del telelavoro e della stessa social collaboration (vedi Rapporto Deloitte sulla social collaboration nelle imprese) mettono in discussione i modelli manageriali e organizzativi tradizionali e richiedono, come già evidenziato, l’implementazione di forme di coordinamento e integrazione, basate (anche) sullo sviluppo dei processi comunicativi e relazionali, oltre che di una cultura aziendale che incentivi la collaborazione.

3. La gestione della diversità
Per cogliere le opportunità della globalizzazione, riducendo i rischi, le aziende devono diventare “glocali” perare nei d(Robertson, 1999), ovvero imparare a oiversi mercati, con un occhio alla dimensione globale e un altro alle specificità (non solo) culturali dei singoli mercati e contesti locali in cui operano.
Sheth (2006) sostiene che le aziende, per riuscire ad operare efficacemente in un contesto globale, debbano essere in grado di conciliare l’Anekanta, un principio buddista che implica la capacità di assumere una prospettiva pluralistica che sappia considerare punti di vista diversi rispetto al fenomeno osservato, e la gestalt, ovvero, una visione olistica che sia in grado di cogliere gli elementi d’insieme e le relazioni chiave dello stesso fenomeno.
Inoltre, le aziende devono essere in grado di aumentare il tasso interno di diversità organizzativa (Maimone, 2005), per far fronte alla varietà dell’ambiente esterno (Ashby, 1964). Per questo, la diversità (non solo) culturale rappresenta un asset strategico, in particolar modo per quelle aziende che operano nei settori ad alto capitale di conoscenza e/o su scala internazionale.  Ricordiamo, infatti, che secondo molti studiosi (vedi Florida, 2012), i contesti sociali più favorevoli alla valorizzazione delle diversità sono anche quelli che offrono le condizioni migliori per l’innovazione e la creatività. Ad esempio, il valore della diversità è considerato un elemento chiave per il successo del prestigioso Karolinska Institutet

La comunicazione interna può svolgere un ruolo strategico per favorire la valorizzazione delle differenze, creare un clima interculturale e una cultura aziendale favorevoli all’inclusione, facilitare la comunicazione, la condivisione e lo scambio tra le tante diversità presenti in azienda. Con benefici per le persone ma anche per le stesse aziende. Come ha affermato la studiosa americana di management Teresa Amabile (2008), la creatività si nutre di diversità ed è favorita da un ambiente di lavoro che consenta la libera espressione di emozioni, sentimenti, idee, progetti, ecc. (vedi Maimone e Sinclair, 2010).
Un esempio di comunicazione orientata al diversity management e all’interculturalità è proposto in questo video di IBM Australia e Nuova Zelanda

4. Il benessere organizzativo
Il cambiamento non è mai a somma zero. Puoi ottenere dei benefici, ma purtroppo ci sono anche dei costi. Il mutamento parossistico, la frammentazione e la de-materializzazione delle relazioni organizzative, la precarizzazione dei rapporti di lavoro, il focus ossessivo sul controllo dei costi e sul raggiungimento degli obiettivi generano disorientamento, smarrimento, perdita di identità e di senso. Un dis-engagement latente dalla propria organizzazione e dal proprio lavoro, che sovente non viene espresso in maniera esplicita dai dipendenti e non si trasforma in “employee voice”, perché in un momento di crisi le persone, per mancanza di fiducia e paura di subire conseguenze negative, possono essere riluttanti ad esprimere critica e malcontento.
Un recente studio, condotto da ISTUD e Università degli Studi di Milano per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha evidenziato la rilevanza del tema e il ruolo svolto dalla comunicazione.
La comunicazione interna può contribuire al miglioramento del livello di benessere organizzativo, insieme alle HR. A patto che venga coniugata in una modalità multi stake - holder, che favorisca l’ascolto, la partecipazione e l’inclusione di tutti i dipendenti.

5. La responsabilità sociale e la sostenibilità d’impresa
La responsabilità sociale e l’etica d’impresa stanno assumendo una crescente rilevanza, almeno nelle dichiarazioni ufficiali delle imprese. La sostenibilità (interna ed esterna) delle strategie e delle pratiche aziendali costituisce la cartolina di tornasole della capacità dell’impresa di conciliare gli obiettivi di business con i bisogni della società. Come evidenzia Maurizio Incletolli, Presidente di ASCAI, in una sua recente intervista, la comunicazione interna deve diventare sempre più “sociale”. Due esempi di comunicazione “responsabile”: il  Progetto We are Energy di Enel e il Citizen Day 2015 di L’Oreal.
Le trasformazioni sopra descritte stanno favorendo l’evoluzione della funzione e del ruolo della Comunicazione Interna.
Uno studio prodotto nel 2012 dalla società di consulenza internazionale Melcrum ha evidenziato come la funzione comunicazione interna svolga sempre di più, nelle aziende che hanno partecipato all’indagine, il ruolo di “facilitatore di connessioni” tra le persone, i ruoli, i team, le aree aziendali e l’esterno (Vedi ad esempio il Progetto Natural Brand Advocates di Unicredit).
Qualcuno potrebbe obiettare che i trend presentati in questo contributo riguardino solo le aziende più avanzate e tecnologicamente “aperte”. Questo è vero, però, solo fino a un certo punto. Infatti, tutte le organizzazioni, anche quelle meno orientate all’innovazione, sono costrette ad adattarsi ad un ambiente in profonda trasformazione. La progressiva destrutturazione dei sistemi organizzativi è un fenomeno che colpisce tutte le aziende, anche quelle più tradizionali, che adottano modelli gerachico-burocratici.
Per questo, la comunicazione interna, soprattutto se declinata nell’accezione di comunicazione organizzativa, sta diventando sempre di più uno strumento strategico di organizzazione e management, all’interno ed all’esterno dei confini organizzativi.
Si aprono delle grandi opportunità per la Funzione Comunicazione Interna. Si prospettano, ovviamente, anche dei rischi. E si pongono degli interrogativi: come si evolverà il ruolo del  comunicatore (non solo) interno del futuro? E quali saranno le competenze critiche necessarie per rispondere ai nuovi bisogni delle imprese (non solo) 2.0?
Emerge, infine, l’esigenza di svolgere una vera e propria azione di branding, finalizzata a legittimare le trasformazioni in atto della funzione e dei ruoli di comunicazione, nei confronti del board aziendale e di tutti gli stake holder interni ed esterni, e a favorire lo sviluppo di una cultura diffusa della “comunicazione 2.0”.

Per saperne di più 
Amabile, T.M. and Khaire, M. (2008). Creativity and the role of the leader. Harvard Business Review, 86, pp. 100–109.
Ashby, W.R. (1964). “Principles of the self-organizing system”. In von Foerster, H. and Zopf Jr., G.W., (Eds.). Principles of Self-organization: Transactions of the University of Illinois Symposium. London:Pergamon Press, pp. 255–278.
Castells, M. (2014). La nascita della società in rete. EGEA, Milano.
Florida, R. L. (2002). The rise of the creative class: and how it's transforming work, leisure, community and everyday life. Basic books, USA.
Ghoshal, S., & Bartlett, C. A. (1990). The multinational corporation as an interorganizational network. Academy of management review, 15(4), 603-626.
Maimone F. and Sinclair M.. (2014), Dancing in the dark. Creativity, knowledge creation and (emergent) organizational change. Journal of Organizational Change Management, vol. 27, n. 2.
Maimone F. (2012), “Organizzare la comunicazione”. In Gabrielli G. e Profili S. (a cura di), Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane, TORINO: ISEDI, p. 247-272,
Maimone F. (2010), La comunicazione organizzativa. Comunicazione, relazioni e comportamenti organizzativi nelle imprese, nella PA e nel no profit. FrancoAngeli, Milano;
Maimone, F. and Sinclair, M. (2010). “Affective climate, organizational creativity and knowledge creation: case study of an automotive company”. In In Zerbe, W.J., Härtel, C. and Ashkanasy, N. (Eds), Research on emotions in organizations, Emerald Group Publishing Limited, UK, 6, 309-332.
Maimone, F. (2005), Organizzazione cosmopolita. Relazioni organizzative e comunicazione nei contesti multiculturali. Un approccio sociologico. Aracne, Roma;
Matusitz J. (2010), Disneyland Paris: a case analysis demonstrating how glocalization works, Journal of Strategic Marketing, Vol. 18, No. 3, June 2010, 223–237.
Morin, E., & Corbani, M. (1993). Introduzione al pensiero complesso. Sperling & Kupfer, Milano.
Robertson R. (1999), Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste;
Volberda, H.W. (1996), “Toward the flexible form: how to remain vital in hypercompetitive environments”, Organization Science, Vol. 7 No. 4, pp. 359-374.