Editoria d'Impresa

Le Tappe della Stampa aziendale


Intervista a Maurizio Incletolli
Presidente di Ascai

 


Alla comunicazione aziendale si associa spesso il termine 'house organ'. Ascai ha ripercorso nella sua ultima pubblicazione la storia di uno strumento che ha origini lontane nel tempo ...
L'espressione 'house organ' identifica ancora oggi lo strumento di comunicazione realizzato e diffuso dall'azienda per parlare di se, dei suoi prodotti o servizi, delle persone che vi lavorano, puntando principalmente su una fidelizzazione della clientela oltre che del suo 'pubblico interno'.
Si fa risalire al 1895 la comparsa nel nostro Paese della prima vera pubblicazione di marca imprenditoriale. Veniva infatti alla luce in quell’anno “La Riviera ligure di Ponente” rivista quadrimestrale di piccolo formato (20 x 30 cm) pubblicata dalla ditta olearia P. Sasso e figli di Oneglia. Un’esperienza sicuramente mutuata oltreoceano dalla stampa aziendale statunitense, il cui battesimo si deve a John Deere, grande imprenditore agricolo e al suo periodico “The Furrow”, diffuso dal 1897.
Quello ligure non fu che uno dei tanti esempi di ‘customer magazine’, in seguito imitato e perfezionato durante il lungo cammino della stampa aziendale. Un cammino esaltante negli ultimi cento anni raccontati nel libro realizzato da Ascai, ma anche irto di difficoltà, a cavallo di due conflitti mondiali, di crisi e di riprese, di innovazioni e shock tecnologici che hanno progressivamente rivoluzionato il modo di fare giornalismo d’impresa. Un fenomeno sviluppatosi di pari passo con le vicende economiche e sociali del Paese, spesso trascurato dalle cronache, ma ricco di significati che testimoniano il percorso e la crescita culturale di una pubblicistica sui generis, rivolta a una readership speciale rappresentata soprattutto dai dipendenti delle grandi aziende. Il tutto attraverso testimonianze di persone e fatti raccolte in un significativo arco temporale, che va dal boom della produzione editoriale nei ricchi anni Cinquanta, alle tensioni occupazionali e ai conflitti sindacali a cavallo del ventennio seguente, dal successivo rilancio del dialogo con i lettori all’esplosione del culto dell’immagine degli anni Ottanta. Fino alla più recente rivoluzione tecnologica dei mezzi di informazione, che ha progressivamente trasformato tempi e modalità del fare informazione, anche all’interno degli ambienti di lavoro, ridimensionando nei contenuti e nei format il tradizionale ‘foglio aziendale’ a stampa e decretando la sua inevitabile e irreversibile migrazione verso il digitale.

Nel volume sono anche riportati i risultati di una recente indagine condotta per Ascai dall'Università Cattolica. Come sta cambiando la stampa aziendale?
L’indagine autorevole condotta per noi dall’Università Cattolica evidenzia con chiarezza uno scenario nel quale la pro­duzione di periodici aziendali sta seguendo un percorso evolutivo analogo a quello intrapreso ormai da tempo dalle imprese che nell’editoria quotidiana e periodica hanno il loro core busi­ness. Infatti, sebbene le edizioni cartacee delle testate aziendali ap­paiano ancora protagoniste, beneficiando del fascino di cui da sempre gode la carta che consente una relazione più intima e sensoriale con il lettore, molte imprese hanno già proceduto con l’introduzione della replica digitale in formato pdf, mentre altre hanno optato per una trasposizione online dei contenuti della versione a stampa.
A fronte di ciò - si sottolinea nella ricerca - sono ancora poche le aziende che hanno affrontato la transizione verso un periodico online con caratteri­stiche proprie: contenuti aggiuntivi rispetto alla versione cartacea, continuamente aggiornati, redatti con un linguaggio adeguato alla necessaria integrazione di testi, suoni, immagini, animazioni e video - che consentono diverse modalità di fruizione - e iperte­stuali, in modo tale da offrire un’informazione di tipo non lineare sulla base di percorsi personali di consultazione interattiva capaci di soddisfare esigenze informative specifiche.

Insomma, l'editoria d'impresa sta progressivamente migrando verso il digitale?
Oltre la metà del campione di aziende italiane (53,3%) analizzato dall'Università Cattolica pub­blica almeno un periodico. Tra queste il 20% ha un’edizione solo cartacea, il 55% integra alla carta anche l’online e il 25% opera esclusivamente online.
Diciamo pure che è in sicura crescita la migrazione in Rete di giornali e riviste, soprattutto quelli pubblicati dalle grandi im­prese, sia riservati ai dipendenti sia con diffusione estesa alla clientela o, comunque, a una readership esterna. E questo nonostante limiti di competenze tecniche e, talvolta, resistenze di carattere culturale.
Per altro verso, se è vero che la carta tiene, in parte, rispetto all’avanzata del digitale, come in una sorta di linea Maginot, è altrettanto dimostrato dalla ricerca Ascai che format e contenuti in versione web restano un terreno ancora tutto da esplorare, specie sul fronte delle versioni “social”, la cui gestibilità è ben più critica se il periodico è indirizzato all’interno dell’azienda.
Di vero c’è che il nuovo fenome­no mediatico sta progressivamente modificando lo stesso sistema di relazioni tra aziende e dipendenti e che questo può avere un pregio innegabile sul piano della costruzione e della condivisione delle informazioni.
A mio giudizio, è comunque auspicabile che le testate aziendali, nella loro impre­scindibile evoluzione online, mantengano la natura di ‘prodotto editoriale’ e siano gestite con le necessarie professionalità, unendo le competenze del giornalista a quelle del comunicatore d’impresa.  Solo così gli obiettivi aziendali, le opportunità di interazione, di condivisione e di partecipazione atti­va dei destinatari potranno puntare a una produzione qualificata, che valga a valorizzare il ruolo insostituibile delle pubblicazioni aziendali.

Come gestire allora questa grande offerta di strumenti di comunicazione ?  
Penso sia giusto considerare anzitutto che oggi qualsiasi impresa, piccola o grande, pubblica o privata, non possa più permettersi di sottovalutare l’importanza che rivestono al suo interno gli strumenti di comunicazione. Perché con la complicità di una continua innovazione tecnologica, newsletter, blog, social media che viaggiano in rete varcano quotidianamente la soglia delle aziende e, loro malgrado, influenzano le opinioni e i comportamenti di quanti vi lavorano. Impossibile quindi non avere a disposizione almeno un canale di comunicazione interna, distinto dal contatto diretto che si realizza attraverso riunioni e convention. E quì sta il problema. Perchè la vera priorità sta nell’analisi preventiva dei bisogni di comunicazione dell’organizzazione e nella conseguente scelta dello strumento più idoneo, prima di restare preda del fascino suscitato dai nuovi media. Perché un ritorno in termini di efficacia da un mezzo di comunicazione può essere assicurato solo dopo una attenta valutazione di alcune variabili fondamentali, quali il modello organizzativo esistente, la delocalizzazione dei processi produttivi, il sistema consolidato di relazioni interne, senza sottovalutare l’entità del gap generazionale della forza lavoro.