Un Anno di Covid in Italia
tra Smartworking e Infodemia
poco piu' di un anno fa veniva ufficialmente identificato il primo caso italiano di Covid-19. EURISPES RACCONTA COME Da quel giorno, nell’incredulità generale, il virus SIA rapidamente dilagato nel nostro Paese cambiando radicalmente
le nostre esistenze, il nostro modo di lavorare e di informarci
Un’esperienza complessivamente positiva
Il 66,2% di chi ha lavorato in smart si dice soddisfatto rispetto all’organizzazione del lavoro, il 62% riguardo alla gestione dei tempi e degli orari. Più della metà del campione si è inoltre trovato bene nel coordinamento con i colleghi (57,5%), con i superiori (56,4%) e con il carico di lavoro (56,2%). Se prevalgono le esperienze positive, occorre però sottolineare la percentuale non trascurabile di lavoratori a distanza che si sono trovati in difficoltà; in particolare, il 18,7% si dice per nulla soddisfatto del coordinamento con i superiori, il 18,3% del carico di lavoro. I monogenitori con figli (78,6%) e le coppie con figli (62,7%) sono i più soddisfatti dello smart working in relazione alla gestione dei tempi e degli orari.
In smart working la netta maggioranza dei lavoratori ha gestito meglio gli impegni familiari e domestici (60%) e si è sentita più libera (58,2%). D’altra parte, si sono sperimentate anche sensazioni negative: al 64,2% è mancata la compagnia dei colleghi e per il 53,9% le giornate lavorative sono state più noiose. Il 46,5% dei lavoratori ritiene di essere stato/a più efficiente nel lavoro (al contrario, il 53,5% pensa di no) ed il 45,6% ha avuto difficoltà a trovare indicazioni e coordinamento nel lavoro.
Oltre un terzo dei lavoratori (34,9%) ha avuto difficoltà di carattere pratico, avendo a disposizione strumenti (pc, smartphone, connessione Internet) inadeguati/insufficienti.
Mettendo a confronto le esperienze di uomini e donne in smart working, i primi affermano con maggior frequenza di essersi sentiti più liberi (60,5% contro 55,8%), mentre le lavoratrici più spesso dichiarano di aver trovato le giornate più noiose (56,5% contro 51,4%).
Tra chi vive solo sono più numerosi coloro che hanno sentito la mancanza dei colleghi – 68,2%, a fronte del 50%, in particolare, dei monogenitori con prole –, e coloro che hanno trovato le giornate lavorative più noiose – 64,8%, a fronte del 47,2% delle coppie con figli, del 53,6% dei nuclei monogenitoriali e del 55,2% delle coppie senza figli.
Lavoro in smart? Soprattutto “tecnomuniti”
Per quanto riguarda la dotazione di strumenti informatici, ormai indispensabile alla gran parte dei lavori, la maggioranza del campione (52,3%) riferisce di aver usato i propri (pc, smartphone, connessione Internet), al 39,8% sono stati forniti dall’azienda per cui lavora, mentre al 7,9% sono stati forniti/rimborsati in parte dall’azienda.
I risultati mostrano, da questo punto di vista, notevoli differenze sul territorio italiano. Nel Mezzogiorno la netta maggioranza dei lavoratori a distanza ha utilizzato i propri strumenti informatici: il 68,8% al Sud ed il 64,4% nelle Isole. La quota resta maggioritaria al Nord-Ovest (54,5%), mentre scende al 41,2% al Centro ed al 34,1% al Nord-Est. Al Nord-Est ed al Centro la dotazione informatica viene nella maggior parte dei casi fornita dall’azienda – rispettivamente nel 56,1% e nel 52,9%, contro il 24,8% del Sud ed il 20,3% delle Isole (dove il 15,3% riceve però un rimborso, anche parziale, da parte dell’azienda per la quale lavora). Anche la tipologia contrattuale risulta in relazione con le modalità lavorative in smart working. Il 78,1% delle partite Iva utilizza i propri strumenti informatici, lo fanno anche la maggioranza dei lavoratori atipici (58,2%) e dei subordinati a tempo determinato (52,2%). Tra i lavoratori a tempo indeterminato prevalgono i casi in cui la dotazione è a carico dell’azienda: nel 45,1% dei casi essa fornisce direttamente gli strumenti, nel 9,8% fornisce un rimborso, anche parziale.
Media e Covid-19. Infodemia o informazione? Gli italiani e i media
Forse mai come oggi gli italiani sentono il bisogno di informarsi ed essere informati: l’incertezza riconducibile alla pandemia ha generato una sete di notizie che ha coinvolto anche categorie fino a poco tempo fa meno interessate a Tg e mezzi di informazione.
Nel diluvio di notizie in cui verità, fake, teoremi, ipotesi e dicerie, si fondono e confondono, come si muovono i cittadini italiani? Quali mezzi prediligono per raccogliere informazioni e formarsi una propria opinione sull’emergenza sanitaria? Che cosa pensano delle notizie diffuse dai diversi canali?
A tutto Tg, ma il futuro dell’informazione viaggia online. Il mezzo preferito dagli italiani per raccogliere informazioni sull’emergenza sanitaria legata al Covid-19 sono i telegiornali (33,8%) e i quotidiani on line (22,3%). I quotidiani stampati si classificano al terzo posto con l’8,4% delle preferenze, immediatamente seguiti da talk show e programmi di intrattenimento (8,3%) e dai Social Network (8,1%), Alle spalle si piazzano le news radiofoniche (5%), magazine cartacei e chat social (entrambi fermi al 2,8%), e gli influencer (1,6%).
Le news televisive sono il canale di informazione preferito dagli over 64 (48,3%) e dai 45-64enni (31,7%), mentre i giovanissimi usano soprattutto i Social per informarsi (27,2%).
I talk show e i programmi di approfondimento televisivi sono un canale di informazione preferenziale specialmente per gli ultrasessantaquattrenni (10,5%), risultato che, sommato alla frequenza registrata in questa categoria per i telegiornali, fa di questa fascia d’età l’unica che si informa, nella maggior parte dei casi, attraverso la televisione (58,8%); mentre i più giovani utilizzano prevalentemente i canali on line (tra Social e quotidiani online in tutto 62,1% fra 18 e 24 anni; 50,9% fra 25 e 34 anni).
Pandemia: l’informazione è confusa
Il giudizio sulla qualità dell’informazione veicolata in merito alla pandemia da Covid-19 dai differenti canali mette al primo posto la confusione. Ad essere considerata più confusionaria è l’informazione veicolata dai Social Network (40%), seguono le comunicazioni ufficiali del Governo, del Ministero della Salute e delle Regioni (36%) ed infine quella offerta dai mezzi di comunicazione di massa (28,3%). I mezzi di comunicazione di massa sono anche quelli ritenuti più spesso in grado di fornire informazioni utili (25%), seguiti dalle comunicazioni ufficiali (23,9%), ma sono anche i più accusati di diffondere notizie allarmistiche, con il 22,8% di preferenze per questa opzione (17,6% Social Network e 12,7% comunicazioni ufficiali).
Le comunicazioni ufficiali provenienti dalle Istituzioni guadagnano il primato nell’essere considerate veritiere (20,1%), per i Tv, radio, ecc., la percentuale di quanti ritengono diffondano notizie veritiere scende al 9,2% e per i Social Network si abbassa ulteriormente al 4,5%. Questi ultimi sono invece più spesso giudicati asfissianti (18,5%); sono dello stesso parere relativamente ai mezzi di comunicazione di massa il 14,7% del campione e il 7,3% per quanto riguarda le comunicazioni ufficiali.
Nel complesso, gli italiani sono convinti che l’informazione più utile e veritiera sul Covid-19 sia quella veicolata dalle Istituzioni (in totale 44%), seguita da quella trasmessa dai mezzi di diffusione di massa (34,2%) e, a chiudere, quella che circola sui Social Network (23,9%).